Frammenti

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Noi, diceva Italo Calvino, siamo anche ciò che produciamo, ‘le vite umane si prolungano attraverso le cose’: cose necessarie in quanto ‘la vita del genere umano che è vita sociale e culturale oltre che biologica si realizza attraverso gli oggetti, gli strumenti, gli edifici, gli spazi, i luoghi, e così anche le rappresentazioni, la scrittura’. Trascurare le cose, non essere capaci a vederle, è sintomo di una ‘sdegnosa ingratitudine’ da parte dell’uomo.

E Mario Praz diceva che ‘la presenza sensibile delle cose ha grande importanza…tal è la natura di queste care cose terrene fra cui viviamo che una non se ne può negare senza negare insieme tutte le altre. Che io metta l’anima in un tavolino o in una sedia che conquista il mio occhio, è peccato di poco più grave del metterla in un paesaggio’. Eppure la contemplazione dei paesaggi considerati naturali passa per esser quanto v’è di più spirituale: perché allora non quella dei mobili e dei loro spazi, che ‘obbediscono a una legge d’economia che è quella stessa del paesaggio?’. ‘I mobili son forme artificiali, ma non arbitrarie; hanno una regola di necessità che è la medesima che governa monti e pianure: e da ciò risulta la loro bellezza…

L’umano è la traccia che l’uomo lascia nelle cose, è l’opera, sia essa capolavoro illustre o prodotto anonimo di un’epoca. E’ la disseminazione continua d’opere e oggetti e segni che fa la civiltà, l’habitat della nostra specie, sua seconda natura… ogni uomo è uomo-più-cose, è uomo in quanto si riconosce in un numero di cose, riconosce l’umano investito in cose, il se stesso che ha preso forma di cose’.’Io son convinto, fantasie a parte, che i mobili si sentono meglio fisicamente, e stavo quasi per dire spiritualmente, quando son collocati nel proprio ambiente’.

Con buona pace del nomadismo e della provvisorietà, che tanto a tutto ciò non sfuggono né mai potranno sfuggire.

Maurizio Vogliazzo        marzo 2015